IL TESTAMENTO DI  “BUFFONO DI BERTOLOTTO”

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Nell'anno 1238, a breve distanza dalla soppressa e poi distrutta chiesa di S. Matteo Apostolo in Padova (situata al N. 16 della centralissima Via S. Fermo, al cui interno rimane l'elegante campanile), un certo Buffono di Bertolotto dal letto dove giaceva ammalato, ma tuttavia sano di mente, andava meditando sulla caducità e specialmente sull'incerto avvicendarsi delle cose umane. Le condizioni della città di Padova, tenuta da Ezzelino III da Romano e governata da podestà e consiglieri, aggravavano le preoccupazioni dell'ammalato. Egli stava osservando che tutti i violenti, bramando le ricchezze, sono tentati di impadronirsene anche contro la volontà del possessore, il quale non potrebbe più far nulla quando fosse morto. Ad evitare che i suoi beni passassero a persone non meritevoli, il saggio Buffono intese provvedere alla distruzione del suo denaro, finché fosse in vita, avvalendosi della protezione legale. Dunque, il giorno 9 agosto 1238, ecco convenire nella sua casa alcuni testimoni, da lui invitati: il parroco di S.Matteo don "Bene", il giudice Benedetto "De Gambaza", i lavoratori in pelle Patavino e Rainaldino, il sarto mastro Nicola e il notaio Bartolomeo "De Fraxerio"; persone, queste, degne di fiducia, uomini di lavoro, d'affari e di legge. Davanti a costoro il malato detta le sue volontà.

Il testamento del Buffono potrebbe essere lasciato all'oscuro, in mezzo a molte altre pergamene del tempo, se non offrisse alcuni spunti di estremo interesse per chi volesse conoscere le condizioni religiose di Padova e del territorio in quel torbido periodo del primo '200 e se, in particolare, non mettesse in evidenza memorie francescane, cogliendole proprio alla loro origine.

Buffono abita vicino alla chiesa di S. Matteo. Anzi fra la sua casa e la chiesa vi era incuneato un tratto di terreno di proprietà dei Benedettini di Praglia. Essere sepolto nella chiesa di S. Matteo, in una tomba addossata alla chiesa, è la sua prima disposizione. Poi sono affidate alla moglie Perolda "libre 400 di danari veneti", dalla quale somma verranno impiegate libre 25 per la sepoltura e a suffragio della sua anima. Restano nelle mani di Perolda 375 lire che dovranno essere distribuite secondo un elenco prestabilito. Seguiamo l'elenco dei beneficiati, accompagnandoli con qualche nota di identificazione.

"Laborerio ecclesiae sancti Mathei soldos centum". Buffono assegna un legato per la sua chiesa, dove erano in corso lavori di restauro. Il titolo di S. Matteo Apostolo accenna a predilezioni liturgiche dei tempi antichi. La chiesa benché fosse di proprietà dei Benedettini, era una delle "cappelle" dipendenti dalla cattedrale padovana di S.Maria Assunta. A suo rettore nel 1173 è ricordato un prete Pellegrino di S. Matteo che faceva parte della Fraglia dei Cappellani ed esercitava la cura d'anime. Nell'anno 1099 la chiesa di S. Matteo già esisteva e si trovava dentro la cinta delle mura ed era stata concessa, con i suoi proventi, in dono al Monastero di S. Giustina. Ce ne informa una bolla di Callisto II, emessa in data 15 marzo 1123, con cui il Pontefice confermava ai Benedettini il possedimento di tutti i beni ricevuti, fra i quali sono annotate le chiese padovane di S. Daniele, S. Giuliana (che sorgeva al n.l3 di via Roma, a Padova,  poi divenuta S. Apollonia, ospitante la Fraglia degli Orefici) e S. Matteo. Pertanto i monaci Benedettini possedevano la chiesa e il terreno. Là, in un cantiere, degli operai attendono ai lavori di restauro. Buffono a pochi passi osserva il fervore dell'opera e incoraggia il cappellano offrendo 100 soldi.

L'elenco dei destinatari dei legati potrebbe sembrare un'arida successione di nomi e di numeri e quasi estraneo all'argomento. Non è così. Nella storia del tempo e di riflesso nell'animo di Buffono notiamo che nel periodo in cui il Beato Giordano dei Forzate, turbato dalle fazioni che agitavano la Padova repubblicana, usciva nella campagna circostante e qui "congregava" in due famiglie, sotto la regola benedettina (1195), i delusi del mondo, da allora e per circa 50 anni si moltiplicano nella città le persone assettate di vita cristiana che, seguendo il suo esempio, emigravano nelle campagne. Un nuovo anello pacifico e spirituale circondava Padova: erano i monasteri eretti oltre le mura. Buffono assiste nella sua gioventù al fiorire di questa "primavera".

Poi giungono i frati minori. Lo spirito dell'umile povertà francescana affascina il popolo disprezzato e sofferente. Buffono, maturo d'anni e di virtù, ne è preso, soggiogato, entusiasta. Da quel momento egli pensa ad un "suo convento" in Ca’ Murà, e generosamente provvede alla "fabbrica" di S. Antonio, a S.Maria Mater Domini all'Arcella, a Curtarolo e ad altri piccoli conventi.

Della sua visione francescana, proiettata nel suo divenire, quanto rimane adesso che abbia "voce" per noi?

 

 

Gianfranco Maritan:  “LA PIAZZA”          MARZO  2000